Barone Ettore Pomarici Santomasi

barone

BARONE ETTORE POMARICI SANTOMASI

Il barone Ettore Pomarici Santomasi nacque a Gravina il 31 dicembre 1854 da Luca e dalla nobildonna Carolina Calderoni. Nono di una numerosa famiglia di ben dodici figli, sopravvisse ai suoi sfortunati fratelli Antonio, Michelangelo e Carlo, morti prematuramente, ereditando l’intero asse patrimoniale del ricco casato.

Aveva un carattere introverso, scontroso, rude, essenziale. Nascondeva con cura le proprie emozioni, trincerandosi dietro un’impenetrabile riservatezza. Trovava difficile condividere apertamente i propri sentimenti e le proprie ansie. Esercitò la regola della parsimonia e della cura dei beni che riuscì, nel corso della sua vita, a decuplicare.

I suoi genitori, che desideravano vederlo accasato per garantire la discendenza alla famiglia, lo spinsero a cercarsi moglie. La prescelta fu la bellissima Maria Riccardina Porro di Andria, appartenente ad una nobile stirpe. Il matrimonio avvenne nell’aprile 1884 e fu allietato dalla nascita di tre figli: Luca, Carolina, Michele.

Il primo dramma colse il Barone il 24 dicembre 1886, quando sua moglie, di appena 23 anni, morì alla vigilia di Natale, due giorni dopo aver dato alla luce l’ultimo nato. Un’altra grave perdita, quella del padre Luca, lo colpì nel 1895. Tre anni più tardi, il 22 aprile 1898, viene a mancare la figlia dodicenne Carolina, per un incidente domestico.

Luca, il primogenito, si ammala gravemente: soffre di disturbi polmonari. IL ragazzo sospende gli studi per essere curato nei vari sanatori italiani e anche esteri.

Intanto il Barone, l'11 novembre 1901, dopo molti anni di vedovanza, all'età di quarantasei anni, convola a nozze con la figlia di sua sorella Maddalena, la ventunenne Ida Benchi,

Il matrimonio non gli restituisce quella serenità ormai definitivamente persa con la morte della amata prima consorte, anzi: i due sposi non andranno mai d’accordo, certo non favoriti dalla notevole differenza d’età. Da loro unione, il 23 agosto 1903, nasce un bambino, chiamato Antonio Ippolito, che morirà due mesi dopo. I dissapori tra la coppia aumentano, tanto da arrivare ad una inevitabile separazione.

Dopo la grave malattia di Luca, le speranze di dare una discendenza al nobile casato poggiano tutte sulle spalle di Michele, l'ultimo figlio. Questi, già possessore di un ingente patrimonio personale, partecipa con suo padre, nei primi anni del Novecento, alla grandiosa asta per la vendita dei beni fondiari ed immobiliari appartenenti ai duchi Orsini, antichi feudatari di Gravina. Al Barone vengono aggiudicati l’oliveto e il fabbricato dietro al Castello Svevo insieme ad altri numerosi appezzamenti di terreno. Il giovane si aggiudica lotti ingenti con cui incrementa di circa mille ettari il suo già notevole patrimonio agrario. Egli 

può così pensare ad accasarsi, sicuro di garantire alla famiglia ogni agiatezza. Finalmente conosce la nobile Teresa Pellicciari, di cui si innamora subito. La fanciulla, di due anni maggiore di lui, gratifica il suo bisogno di amore frustrato da una infanzia vissuta senza l’affetto di una madre.

I due giovani si sposano il 16 giugno del 1910 e, dopo il matrimonio, si trasferiscono a Bari e lì nasce, un anno dopo circa, la prima delle loro tre figlie. 

Luca, il figlio maggiore, intanto, pur seguendo cure specialistiche costose e all’avanguardia per quei tempi, muore a Napoli il 10 gennaio 1912 all’età di ventisette anni, lasciando nell’angoscia i suoi cari.

Ma quale non è la sorpresa e lo sgomento della famiglia quando, in maniera del tutto inaspettata, Michele muore improvvisamente dodici mesi dopo suo fratello, il pomeriggio del 17 dicembre 1912 nella sua residenza barese, lasciando nella disperazione la sua amata consorte, in stato di gravidanza! La salma viene trasportata a Gravina e seppellita, il 20 dicembre, nella parte vecchia del Camposanto cittadino.

Dopo alcune settimane nasceranno postume due gemelle, Francesca e Michelina, destinate a godere una vita lunga e felice quasi a riscattare una storia maschile sfortunata e fragile.

Dopo la nascita delle due nipotine, Ettore si rende conto che la discendenza per linea maschile ormai è preclusa e che dopo la sua morte il nome della famiglia è destinato ad estinguersi. Si fa strada in lui il desiderio di esaudire il suo “bisogno di eternità” insieme a quello di contribuire al bene e alla prosperità del suo paese.

Sempre più solo, sente che la fine è vicina: con profetica lucidità e forza di carattere il 6 dicembre 1917, appena un giorno prima della sua morte, don Ettore, con legato testamentario, dona il palazzo avito e alcuni suoi bene alla collettività. Il testamento tradisce la consapevolezza di aver ricevuto dai suoi concittadini apprezzamenti poco benevoli e di non essere stato mai capito né valutato appieno. Egli resta fermo, tuttavia, nel proposito di lasciare alla sua città quote notevoli del suo patrimonio. Ha le idee chiare: per la sua Gravina vuole un Scuola Agraria e di Caseificio da intitolarsi a suo nome. Egli stabilisce con precisione le norme e le condizioni per l’istituzione e la conduzione della stessa.

Lascia al Comune di Gravina la masseria San Mauro, in agro di Gravina, con tutte le dipendenze di circa 240 ettari, il vigneto e l’oliveto in contrada Castello. Lascia l’intero palazzo in via Ponticelli, con tutte le accessioni e dipendenze. Decreta che il palazzo sia destinato alla conservazione dei mobili, quadri, libri, documenti e che, un giorno, diventi un museo ed ospiti una biblioteca. L’eccedenza delle rendite assegnate devono essere destinate anno per anno all’ acquisto di libri, pitture, opere scultorie e radunate nel palazzo dove “egli nacque, visse e soffrì, per divenire luogo di studio e di ammirazione per il pubblico”.

Il giorno dopo aver dettato le sue ultime volontà, il 7 dicembre 1917, il Barone muore. Viene sepolto, secondo quanto da lui predisposto, nella cappella di famiglia del cimitero cittadino. Questa, “dopo la sua morte (viene) chiusa a fabbrica…(con) la lapide già fatta preparare, per restare così eternamente chiusa … con epresso divieto di permettere l’ammissione di qualsiasi altra persona senza eccezione, dovendo quel luogo rimanere sacrato alla memoria della estinta famiglia Pomarici Santomasi”.

Si compie, così, il ciclo vitale di un uomo destinato ad essere al contempo immensamente fortunato per nascita ma profondamente sfortunato per le avversità esistenziali, un uomo che affronta con impavida forza d’animo tante prove terribili, ma non sopporta l’idea di essere dimenticato dai suoi concittadini. Noi cittadini gravinesi dobbiamo a questo Signore di altri tempi la marginale cortesia di tenere vivo il suo ricordo e di tributargli la dovuta gratitudine come comunità scolastica che deve la propria storia alla generosità di un uomo che considerò la ricchezza non una fortuna da godersi ma un bene da condividere.